venerdì 20 gennaio 2017

Na vecchjie sobb’a na specchjie

Na vecchjie sobb’a na specchjie (Prima parte)

Na vecchjie sobb'a na specchjie

Na vecchjie sobb’a na specchjie (Prima parte)

Frugando nei ricordi ho ritrovato questa simpatica storiella, in dialetto cegliese, con la quale, bambini, ci intratteneva il nonno nelle sere buie, alla luce fioca del lume o della fiamma del focolare o, d’estate in campagna, con la straordinaria coreografia della luna piena.
I primi versi venivano raccontati in rima ed io ho voluto completarne il resto, lasciando integro il contenuto. Trovandomi di fronte alla difficoltà di scrivere una lingua di tradizione parlata, ho preso come punto di riferimento il poeta Pietro Gatti, ormai ufficialmente riconosciuto, con nostro grande orgoglio, come il simbolo del dialetto cegliese.

Na vecchjie sobb’a na specchjie

Na vote stave de ciendanne na vecchje
s’ere assittate sobb’a nna specchje
nu misse de fafe se ste muzzucave
jind’a pegnate ngate a sere le cusciunave.
O iaprì de na cosche de fafe c’u cuzzalure
se ne sci vulò bellu grossu nu fafalure
p’u bruttu sbande de sta vecchje
ve spicce a fafe jnd’a specchje.
Ere sere andrignulate se ste retrave
d’assè tiembe all’umete ste jannave
quann nu bellu sold sci jacchiò
i totta quande se ne presciò.
“Ci u pessce ji mu me ccatte
cu lli spine a nganne ji vo sccatte.”
Manghe a carne jedd vosse
ca a nganne o gnotte accappe l’osse.
Se sci ccattò sobb ‘o marcate do ziaredde
se ssettò a’nderr sobb’a scaledde
de dd’annande angunune avà passà
ca jedd se vole marite pigghjà.
Bona vespr cumbà ciucce
lassele a’nderr cudu restucce.
Uejiemmà cummà vecchjaredde
cce sso bell scte ziaredde
ji me ssett nu picche a’qquà
cce ne disce ne ma spusà?
Ie sonte nu picca spilose
come le disce tu le cose?

Na vecchjie sobb’a na specchjie (prima parte)


Una vecchia sulla specchia

C’era una volta una vecchia di cent’anni
si era seduta su una specchia
una porzione di fave sgusciava
nella pignatta verso sera le cucinava.
Nell’aprire un pezzo di fava col coltello
se ne volò un tonchio bello grosso
per la grande paura di questa vecchia
la fava finì nella specchia.
Era sera, intirizzita se ne tornava
da molto tempo all’umido cercava
quando una bella moneta trovò
e tutta quanta si rallegrò.
“Se il pesce ora io mi compro
con le spine in gola posso schiattare.
Neanche la carne lei volle
perché in gola nell’inghiottire si blocca l’osso.
Comprò al mercato alcuni ornamenti
sedette in terra sulla scala
di là qualcuno doveva passare
perché lei voleva prendere marito.
Buon pomeriggio compare asino
lasciala per terra quella paglia.
Accidenti comare vecchietta
come sono belli questi ornamenti
io mi siedo un po’ qua
che ne dici ci sposiamo?
Io sono un poco curiosa
come le dici tu le cose?

Na vecchjie sobb’a na specchjie (prima parte)

fonte

Salento e gli antichi echi della tarantella

Salento e gli antichi echi della tarantella

Vissuto ai nostri giorni come momento folcloristico, di semplice divertimento e ridotta dal consumismo ad intrattenimento turistico, la tarantella, da sempre avvolta da un alone magico-religioso. Comune a tutto il territorio del Salento, ha origini antichissime ma, come tutte le tradizioni orali, si perde nell’incertezza del tempo, dopo aver subito metamorfosi profonde nella forma e nel significato.
I più antichi accenni che si conoscano, risalgono al XIV secolo ma la tarantella (tarantismo o malattia della danza) era ben radicata nel costume popolare perché fosse nata da poco.
Sicuramente di origini antichissime ha molte affinità con la cultura orfico-pitagorica che impregnò tutta l’area Magnogreca ed in particolar modo la città simbolo di tale cultura, Taranto, che non a caso da il nome al tarantismo ed alla stessa tarantella che ne è una sua derivazione.
Osservando bene le caratteristiche della danza, specie nella forma della tarantata, si può, a ragione, supporre che derivi da antichi riti preellenici portati in Grecia da flussi migratori di popolazioni orientali.
Questa danza popolare è quasi esclusivamente di uso popolare, appartenente ad ambienti contadini, e pare abbia acquisito la sua caratteristica a Taranto nel periodo della Magna Grecia. Stando al periodo in cui il tarantismo è approdato e si è sviluppato nel nostro territorio trarrebbe le sue origini da quelle teorie che elaborò la scuola Pitagorica che si riformò nel capoluogo ionico dopo che Pitagora (Samo 580/570-Metaponto 497 a.c.) si ritirò da Crotone a Metaponto, costretto da una congiura.
Queste teorie che i filosofi tarantini Archita, Aristosseno e Clinia diffusero ed elaborarono ulteriormente, sostenute dal fatto che essi furono non solo dei teorici promulgatori della qualità risanatrice della musica ma sperimentavano anche con la pratica tali teorie, dichiaravano la musica elemento vivificante dell’essere umano ed equilibratore cosmico nel rapporto Amore–Anima-Armonia.

venerdì 6 gennaio 2017

Ie tu i Valendine, due serate da incorniciare


Ie tu i Valendine, due serate da incorniciare ed archiviare tra i successi di questo Gruppo che ha mandato in scena sette commedie brillanti, in sette anni, apprezzate dal pubblico, sia al teatro Comunale che in altri luoghi in cui sono state rappresentate.
Il percorso ha avuto inizio con la commedia, sempre in cegliese, “Cungette i cadute” seguita con cadenza annuale, da “U pacce de case”, “U muerte ste buene”, “U scraffaliette”, “Canateme ete na star”, “Ce pacienze ca ngi vole”, e quest’anno “Ie tu i Valendine”.
Diversi gli interpreti di spessore che si sono alternati in questi anni ma parte del nucleo iniziale è rimasto. A questo si sono aggiunti; man mano altri elementi che, con il tempo hanno migliorato le loro performance, raggiungendo ottimi livelli.
La commedia di quest’anno si avvale della presenza degli attori: Pino Santoro, Onofrio Tanzarella, Pasqualina Sgura, Tonia Lodedo, Mimmo Turrisi, Cataldo Suma, Antonella Suma, Isa Vitale, Pietro Liuzzi, Giuseppe Vitale.
Grandi sono le attese da parte di un pubblico assiduo che ci segue fin dal primo anno.
Il Gruppo Teatrale Amatoriale M.SS.Assunta di Ceglie Messapica, da sette anni, rappresenta commedie brillanti in vernacolo cegliese. Lo scopo, oltre che di far divertire, è anche di promuovere in nostro dialetto.
Come tanti altri dialetti, viene sacrificato da una globalizzazione che omologa tutto, compreso il liguaggio, sacrificando quello dei nostri antenati.
Espressività di linguaggio e modi di dire irripetibili nella lingua nazionale. L’esperienza teatrale è per noi un mezzo di socializzazione ed arricchimento culturale. Noi cerchiamo di trasmettere tali stimoli al pubblico che, numeroso, ci segue in tutte le edizioni che mettiamo in scena.
Il ricavato delle serate ritorna per intero alla comunità con beneficenza ad associazioni che si occupano di aiuto a bisognosi o di ricerca contro le malattie.
Ie tu i Valendine, due serate da incorniciare